La osservò senza fare alcunchè, rigido ed immobile; non perché volesse comportarsi in quel modo, di sua spontanea volontà, ma perché ormai la sua mente non riusciva più a controllare il suo corpo. Era in un palese stato di shock; le mani gli tremavano, le gambe pure, il respiro era affannoso e il suo sguardo, fermo sul viso della ragazza, era completamente assente. Ma questa condizione non durò ancora per molto.
La nube carica d'Ira, liberata dal Vaso d'Armida, decise di divertirsi proprio con lui, scombussolandone le reazioni e i sentimenti provati. Fu investito da un alone arancione, visibile solo per qualche istante, dopodichè
qualcosa in lui cambiò.
Continuava a guardare Helly che ora scambiava qualche parola con il tizio seduto sulla scrivania. Non sentì i loro discorsi, riuscì solo a recepire gli sguardi maliziosi che lanciava al ragazzo, le mani di questo che gli cingevano i fianchi, altri sguardi e il suo allontanamento.
Oltre il danno la beffa...
Sentì il sangue ribollire all'interno del suo corpo, caldo e dirompente. La testa, che parve non avere più al suo interno un cervello, divenne improvvisamente leggera ed insignificante. Sentiva un fischio crescente nelle orecchie, quasi fastidioso man mano che passavano i secondi che sapeva di non poter fermare, anche volendo. Il suo viso si macchiò di rosso, le sue pupille si dilatarono all'inverosimile e il tremolio delle mani fu sostituito dai minacciosi pugni chiusi, tenuti con forza fino a far sbiancare le nocche e ferirsi i palmi con le unghie. I suoi respiri sembravano sbuffi di vapore provenienti da qualche ingranaggio meccanico, che ora accelerava il ritmo e ne aumentava la pressione. Tremava ancora, sì, ma perché sentiva dentro di sè che qualcosa in lui stava avviandosi verso la
fase critica, il punto di non ritorno: stava per esplodere.
Ora non si sentiva più confuso, anzi, era più che certo di quel che provava. Era rabbioso, mai com'era stato in vita sua.
Quella era Helly e ne era certo. Helly che aveva creduto morta per tanti anni, Helly che in realtà era viva e che non gli aveva mai scritto nulla per far sì che lui non si preoccupasse per le sue condizioni. Sarebbe bastato poco, sarebbe bastato un semplice 'sto bene' anche se il rapporto che avevano avrebbe suggerito un qualcosa di più profondo... Ma si sarebbe accontentato anche di quello.
Aveva passato la sua vita da adolescente tra depressione e sensi di colpa, per aver creduto che
la sua morte fosse stata in qualche modo colpa sua. Non riusciva a credere di non aver praticamente dormito per mesi, con la paura di sognare il Dissenatore in fondo al sentiero della Foresta, mentre in realtà -a quanto pareva- fu solo un lieve incidente. Chissà come se l'era spassata per tutto quel tempo, mentre lui era all'oscuro di tutto. DI TUTTO. E ora si permetteva di frequentare la sua scuola -dopo esser stata chissà dove per tutto quel tempo- e presentarsi in un Aula vuota, esibendosi in atteggiamenti ambigui con un tizio... Di fronte a lui!
Digrignò i denti, fuori di sè. Mentre abbassava lo sguardo, puntandola come un toro punta il fazzoletto rosso del suo mattatore. Lei si voltò ma non lo riconobbe. Gli diede le spalle.
Gli diede le spalle...
Gabranth non attese oltre. Tirò fuori la bacchetta, puntandola verso la ragazza che si stava allontanando da lui, la causa delle sue gioie e dei suoi mali.
« HELLY WOLSIN!» urlò, richiamando la sua attenzione, con tutta la sua forza. La sua voce, complice la stanza ormai vuota, ribombò come un tuono, trasmettendo vibrazioni nell'aria e facendogli tremare addirittura i piedi. Attese che la ragazza si voltasse, per poi prendere fiato e sfogare tutta la sua ira contro di lei.
« ... io...io... TI ODIO!.» gridò, mentre la bacchetta sguainata, rigida e minacciosa, fece scaturire un incantesimo che Gabranth cercò di castare con tutta la potenza magica che aveva in corpo.
CITAZIONE
- Ventus = crea un'improvvisa raffica di vento, abbastanza forte da gettare un uomo a terra